RECENSIONE:
La conferenza tenuta dal prof. Amedeo Balbi, ricercatore in Astrofisica all’Università di Roma Tor Vergata, che ha lavorato a Berkley e che collabora con la missione spaziale Plank dell’ESA (Agenzia Spaziale Europea), ha rappresentato un viaggio affascinante attraverso lo spazio-tempo fino a 380 mila anni dopo il Big Bang.
La moderna tecnologia è stata in grado di ricreare l’immagine e il suono di quello che fu l’universo allora, solo un istante dopo la sua nascita (380 mila anni rapportati a tutta la vita dell’universo sono infatti l’equivalente di un rapido batter di ciglia!). In realtà non possiamo propriamente parlare di suoni e immagini come li percepiamo attraverso i sensi, bensì come risultato di complesse elaborazioni matematiche che riescono a darci però una fedele rappresentazione dell’alba del mondo.
L’esplorazione del Cosmo inizia solo nel 1965 con la scoperta della radiazione cosmica di fondo ad opera di Penzias e Wilson, che per questo vinsero il premio Nobel. Come molte grandi scoperte, anche questa fu casuale. I due ingegneri della Bell Telephone stavano infatti calibrando un’antenna molto sensibile, quando rilevarono un disturbo alle frequenze delle microonde non proveniente da sorgente nota e indipendente dalla direzione verso cui si puntava l’antenna. Tale ‘rumore di fondo’ era in realtà il calore residuo del Big Bang, che si propagava sotto forma di onda elettromagnetica. Dalle misure di tale radiazione, si è stati così in grado di misurare la temperatura dell’universo, pari a 2.7 gradi Kelvin. Si scoprì poi nel 1991, grazie al satellite COBE, che la radiazione cosmica, apparsa uniforme a Penzias e Wilson, presentava in realtà delle fluttuazioni dell’ordine dei millesimi di grado Kelvin. Oggi sappiamo che questa disomogeneità di propagazione ci permette di ottenere preziose informazioni sulle origini delle galassie. Si è giunti persino a realizzare una “termografia” dell’universo nel momento del “passaggio di fase” da palla di fuoco omogenea a aggregato di galassie in espansione. Associando colori diversi a temperature diverse, si ottiene un’istantanea di com’era l’universo alla sua origine.
Da un’analisi spettrale della radiazione cosmica di fondo, si è potuto inoltre ricreare la ‘musica del Big Bang’, che purtroppo risulta poco gradevole all’orecchio umano, poiché la sua trasposizione nel campo uditivo assomiglia al rombo di un jet al decollo.
La conferenza si è conclusa con un’informazione che affascina e sgomenta allo stesso tempo: solo il 4 % dell’universo è composto da elementi appartenenti alla tavola periodica, cioè di materia così come la intendiamo noi Terrestri. Il restante 96% è a noi ignoto e gli scienziati l’hanno chiamato “materia oscura” ovvero “energia oscura”. Gli sforzi dell’Astrofisica contemporanea sono indirizzati a risolvere proprio questo straordinario enigma.
La conferenza tenuta dal prof. Amedeo Balbi, ricercatore in Astrofisica all’Università di Roma Tor Vergata, che ha lavorato a Berkley e che collabora con la missione spaziale Plank dell’ESA (Agenzia Spaziale Europea), ha rappresentato un viaggio affascinante attraverso lo spazio-tempo fino a 380 mila anni dopo il Big Bang.
La moderna tecnologia è stata in grado di ricreare l’immagine e il suono di quello che fu l’universo allora, solo un istante dopo la sua nascita (380 mila anni rapportati a tutta la vita dell’universo sono infatti l’equivalente di un rapido batter di ciglia!). In realtà non possiamo propriamente parlare di suoni e immagini come li percepiamo attraverso i sensi, bensì come risultato di complesse elaborazioni matematiche che riescono a darci però una fedele rappresentazione dell’alba del mondo.
L’esplorazione del Cosmo inizia solo nel 1965 con la scoperta della radiazione cosmica di fondo ad opera di Penzias e Wilson, che per questo vinsero il premio Nobel. Come molte grandi scoperte, anche questa fu casuale. I due ingegneri della Bell Telephone stavano infatti calibrando un’antenna molto sensibile, quando rilevarono un disturbo alle frequenze delle microonde non proveniente da sorgente nota e indipendente dalla direzione verso cui si puntava l’antenna. Tale ‘rumore di fondo’ era in realtà il calore residuo del Big Bang, che si propagava sotto forma di onda elettromagnetica. Dalle misure di tale radiazione, si è stati così in grado di misurare la temperatura dell’universo, pari a 2.7 gradi Kelvin. Si scoprì poi nel 1991, grazie al satellite COBE, che la radiazione cosmica, apparsa uniforme a Penzias e Wilson, presentava in realtà delle fluttuazioni dell’ordine dei millesimi di grado Kelvin. Oggi sappiamo che questa disomogeneità di propagazione ci permette di ottenere preziose informazioni sulle origini delle galassie. Si è giunti persino a realizzare una “termografia” dell’universo nel momento del “passaggio di fase” da palla di fuoco omogenea a aggregato di galassie in espansione. Associando colori diversi a temperature diverse, si ottiene un’istantanea di com’era l’universo alla sua origine.
Da un’analisi spettrale della radiazione cosmica di fondo, si è potuto inoltre ricreare la ‘musica del Big Bang’, che purtroppo risulta poco gradevole all’orecchio umano, poiché la sua trasposizione nel campo uditivo assomiglia al rombo di un jet al decollo.
La conferenza si è conclusa con un’informazione che affascina e sgomenta allo stesso tempo: solo il 4 % dell’universo è composto da elementi appartenenti alla tavola periodica, cioè di materia così come la intendiamo noi Terrestri. Il restante 96% è a noi ignoto e gli scienziati l’hanno chiamato “materia oscura” ovvero “energia oscura”. Gli sforzi dell’Astrofisica contemporanea sono indirizzati a risolvere proprio questo straordinario enigma.
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