lunedì 13 luglio 2009

La responsabilità sociale d'Impresa tra Etica e Spiritualità, con Giuseppe Robiati




Un breve excursus sulla serata, tratto dal reportage di Luciana Zanon per la rivista 7Th Floor:


“Un’azienda è come un figlio: non puoi amarlo avendo in mente il risultato che vuoi raggiungere con lui. Se lo ami in modo incondizionato, facendo tutto il meglio per lui, sicuramente arriveranno dei buoni risultati, non necessariamente quelli che avevi in mente tu.” Comincia così l’incontro con Marta Brioschi, imprenditrice e HR manager in Fandis, un’azienda tutta italiana (e che vuole continuare ad esserlo), specializzata nel settore della ricerca, progettazione e realizzazione di soluzioni tecnologiche.
“Come imprenditrice do per scontato che devo creare profitto: un’azienda senza profitto, come un bambino senza cibo, non può né sopravvivere né crescere. Ma quello che non è così scontato, e che fa la differenza, è il modo con cui raggiungo questo profitto. Noi ci preoccupiamo di fare le cose bene, dando il meglio di noi stessi e rispettando tutte le persone: io sono certa che questo porterà dei buoni risultati anche e soprattutto, in questo difficile momento di mercato”.

Marta, dopo aver letto qualche tempo fa su 7th floor l’intervista a Beppe Robiati, Impresa e Spiritualità, lo contatta per invitarlo come relatore al ciclo di conferenze di Fandis. Organizza quindi il 9 luglio un incontro aperto a imprenditori, manager e alla comunità locale per parlare di responsabiltà sociale d’impresa. Ovviamente ci vado anch’io e lei mi accoglie nella bella sede di Fandis a Borgo Ticino, con queste parole, una traduzione pratica del concetto di Corporate Social Responsability di cui parlerà Beppe durante l’incontro.

Beppe: la definizione classica di impresa ancora oggi contempla come suo scopo principale il profitto. E chiaro che gli imprenditori nati con questa impostazione usano il mercato in modo predatorio, esclusivamente come canale per fare profitto. Fino a ieri nessuno, al riparo da questo concetto, metteva in discussione che solo una piccola parte dell’umanità gestisse la maggioranza delle risorse del pianeta. Questo ha reso possibile la creazione di una grande ricchezza, purtroppo però condivisa solo da pochi. Ha permesso, e ancora continua a permettere, che bambini venissero utilizzati nelle fabbriche, anche al di sotto dei 14 anni. E che quando si rompevano, esattamente come dei pezzi di ricambio, fossero sostituiti.
M. “Per me parlare di etica a chi ha sempre concepito l’azienda solo come strumento di monetizzazione è molto difficile, ed è molto difficile anche far capire che l’etica sul lungo periodo paga. D’altro canto a me è impossibile capire la logica del solo profitto: fin da bambina in casa mia sentivo da mio nonno, che era un collaboratore di Olivetti, e da mio padre che prima di fondare la sua impresa ha avuto come mentore Mattei, i racconti di questi grandi uomini. È chiaro che per me etica ed impresa sono due parole inscindibili.”

B. Da alcuni anni tuttavia alcuni imprenditori ed economisti, si stanno chiedendo qual è l’influenza dell’impresa nel contesto sociale e nell’ambiente. La definizione si sta trasformando e lo scopo dell’impresa sta diventando molteplice: non è più il solo profitto, ma anche l’attenzione all’ambiente, ai dipendenti, ai clienti, ai fornitori, alla società civile. Insomma le persone hanno le stessa importanza del profitto.
M. “La nostra forza, anche in questo difficile momento, è la qualità delle relazioni e la sinergia che abbiamo costruito con le persone con cui lavoriamo. Ad esempio i nostri clienti e fornitori: se un nostro cliente sta passando un momento difficile e non ci può pagare, possiamo sostenerlo e a nostra volta contare sulla dilazione che ci concederà il nostro fornitore. La fiducia e il sostegno reciproco che si sono creati con anni di relazioni rispettose sono realmente una forza su cui poter contare.

B. E le persone sono anime. Oltre al corpo e all’intelletto (le due parti che maggiormente interessano le imprese orientate al profitto) le persone possiedono emozioni, volontà e talenti. Vuol dire che non si può pensare che le persone non portino al lavoro le loro preoccupazioni, le paure per il futuro, i loro dolori familiari. Ma anche la creatività, i desideri e le speranze e il loro modo di intendere il mondo. Se l’impresa non considera l’individuo nella sua totalità creerà soltanto persone frustrate, che non vedono l’ora di timbrare il cartellino e andarsene a casa, lasciando in azienda il minimo indispensabile delle loro capacità.
In un mondo che diventa sempre più globale la capacità di sintonizzarsi sui diversi bisogni si deve sviluppare sempre di più. Nella nostra azienda, soprattutto in nord Italia, gli operai arrivano da tutte le parti del mondo, il rischio di conflitti fra culture diverse è molto elevato. Ma da noi ogni cultura deve essere rispettata e così, ad esempio, con la consultazione di tutti, abbiamo organizzato la mensa multietnica, dove le donne indù hanno portato le loro ricette vegetariane, i mussulmani ci hanno informati delle loro regole e così via. Ed ognuno, stranieri ed italiani, trovano un pezzetto della loro cultura anche in mensa. Oppure, su richiesta di alcuni mussulmani, abbiamo costruito una sala di preghiera che, con una piccola variazione organizzativa, permetta loro di rispettare i precetti della religione islamica sulla preghiera.
M. “In questo momento di crisi, le persone sono preoccupate e hanno bisogno di sapere quali sono i progetti dell’azienda per il futuro, che cosa intendiamo fare. Il messaggio che cerchiamo di trasmettere è di speranza: noi non possiamo controllare gli eventi esterni, ma possiamo continuare, così come abbiamo sempre fatto, a prepararci e, con l’aiuto di tutti, a fare del nostro meglio. Il mondo ha davanti anni difficili, ma noi non avremo paura, perché Fandis si sta preparando per quelli che verranno poi.”.

B. E soprattutto nessuno può vivere senza amare e senza essere amato. Così come ognuno ha la necessità di sentirsi parte di un’unità. Questo è valido nella vita privata, ma è altrettanto valido anche al lavoro.
M. Il mio intento, come imprenditrice e HR manager, è quello di trasformare l’azienda da luogo di lavoro dove si contrappongono interessi divergenti, in una comunità con delle finalità e un sistema valoriale condivisi, dove il profitto sia considerato un mezzo e non un fine e le persone si sentano realmente partecipi di un progetto in cui riconoscersi.

Dopo il dibattito molte domande, molte richieste, molte speranze, a volte un pizzico di pessimismo che fa chiedere - ma quanto tempo ci vorrà per vedere realizzati i principi del Corporate Social Responsability? -
Beppe: ci vuole tempo, pazienza, coraggio e soprattutto l’impegno di tutti, come imprenditori, come manager e come collaboratori. Insomma come persone.

LZ

Luciana Zanon vive e lavora a Milano come consulente di counseling, coaching, formazione e out door. Opera in azienda su temi come comunicazione, leadership, conflitto, cambiamento, stress, team work. Progetta seminari e percorsi di coaching integrando aspetti cognitivi, emotivi e, grazie alle arti marziali orientali, sensoriali. http://www.lucianazanon.it/

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