domenica 25 gennaio 2009

Per la giornata della Memoria: Shoah We-Shoah

Conferenza musicale di e con Matteo Corradini. Musice originali di John Belpaese

Questa conferenza è veramente difficile da raccontare ed ogni tentativo ne rovinerebbe la magia.
Tutto è iniziato proprio con una parola magica: Abracadabra, che in ebraico significa 'creo mentre parlo' . Impossibile creare però le stesse suggestioni senza le immagini e le musiche scelte per l'occasione, perciò vi invito, lettori, a richiederci (gratuitamente) il DVD della serata, contattando conferenceroom@fandis.it oppure telefonando: 0321 963232.

Lo sapevate che anche Bugs Bunny ha contribuito alla campagna bellica? Sapevate che nei lager si batteva moneta? Sapete cosa aveva di speciale il campo di Theresienstadt? Il viaggio nella Shoah è stato solo accennato, poco più di un battito d'ali attraverso queste ed altre piccole curiosità, luoghi e persone, ma per una volta abbiamo potuto raccoglierci ad ascoltare e riflettere davvero intorno ad una testimonianza che non deve mai andare perduta.

Riporto solo una breve traccia della conferenza. Un fermo immagine sulla storia più raccontata tra le tantissime storie della Shoah:

sabato 7 agosto 1943

Kitty è la bimba che sta di casa accanto a me: quando guardo fuori dalla mia finestra, se il tempo è bello, la vedo giocare in giardino. La domenica Kitty porta un abitino di velluto color vino. Gli altri giorni un vestito di cotone. Kitty ha i capelli colore di canapa, stretti in due treccine e gli occhi blu, chiari chiari. Kitty ha anche una mammina molto buona, ma non ha più il babbo. La sua mamma è una lavandaia: spesso è via durante il giorno, perchè va a lavorare fuori in diverse famiglie e la sera, quando torna, fa il bucato per loro: Sovente la vedo sbattere i tappeti o mettere i panni ad asciugare. Kitty ha una nidiata di fratellini e sorelline, ce n'è uno piccino piccino che quando la mamma dice "è ora di andare a letto", comincia a strillare e si attacca alle sottane della sua sorellona di undici anni.
Kitty possiede un gattino: è nero come un negretto e lei lo coccola molto. Tutte le sere, prima di andare a letto, si sente Kitty che lo chiama: - Micio...Micino...Kit...Kitty...- Ecco perchè Kitty è stata soprannominata così: chissà qual è il suo vero nome, ma sembra proprio un gattino anche lei.

Anne Frank - Racconti dell'alloggio segreto, Einaudi

Note:
Ogni pagina del celebre 'Diario' inizia proprio con ' Cara Kitty,'.
Anne Frank è morta nel campo di sterminio di Bergen-Belsen nel marzo 1945.
A lei e a tutte le vittime della Shoah sono dedicate la conferenza e questa pagina.
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martedì 20 gennaio 2009

Lingue e dialetti in Italia, con il Prof. Franco Brevini

A differenza delle sorelle europee, la lingua italiana non si è naturalmente evoluta nel tempo a partire dal Volgare, ma s’ è quasi materializzata dal nulla in epoca moderna per permettere la diffusione di un’identità nazionale che superasse i confini ed i particolarismi regionali e locali, oltreché per ampliare i mercati disponibili al sistema economico (si pensi ad esempio alle possibilità di vendita di un libro scritto in dialetto veneziano e a quelle di una sua traduzione in Italiano).

Isolati e quindi impermeabili agli influssi reciproci, avevano dominato infatti, fino alla fine del ‘700, i dialetti e cioè fino a quando l’Accademia della Crusca formalizzò e quindi impose ai letterati una nuova lingua elaborata sulla base di quella usata dal Petrarca e da Dante (non si scelse infatti semplicemente di adottare il dialetto fiorentino come molti erroneamente ritengono!). Ciò significò soprattutto stilare un vocabolario ‘autorizzato’ al fine della scrittura letteraria. Tale elenco di parole, però, non comprendeva termini adatti a descrivere la quotidianità (cosa ovvia, visto che i testi dello Stil Novo scelti allo scopo non erano certo descrittivi di fatti e persone in contesti reali) e dunque la nuova lingua acquistò subito un che di pomposo e forzatamente aulico (l’inno di Mameli ci insegna qualcosa, ma anche i libretti d’Opera…). Per i primi scrittori dell’epoca non fu certo vita facile: basti ricordare che il Manzoni scrisse in due anni la prima versione dei Promessi Sposi e ce ne mise altri 16 per ‘correggere le bozze’ (‘sciacquar i panni in Arno’).

Per tutti gli autori che scelsero di scrivere in Italiano, questa evoluzione significò rinunciare all’autenticità di un linguaggio schietto, ricco e punteggiato da coloriture regionali. Le opere persero così immediatezza ed efficacia e rileggendo oggi testi dialettali poi tradotti dallo stesso autore, ci si trova a sorridere dei protagonisti che spesso ne escono ridicolizzati (come non sorridere di fronte a Violetta, donna di facili costumi, che parla come una nobildonna?). L’Italiano divenne dunque inevitabilmente la lingua per descrivere un mondo idealizzato, abitato da dame e cavalieri mossi da nobili sentimenti, sullo sfondo di una realtà solo accennata.
La letteratura che rimase dialettale (nelle antologie scolastiche ancora designata come ‘minore’) conservò invece il suo legame con il popolo, gli esclusi, la disperazione, i luoghi della terra e del lavoro, i sentimenti vissuti, l’erotismo, tutti temi che certo non avrebbero potuto essere trattati con eguale profondità dalla letteratura ‘alta’.
Il Prof. Brevini ci ha dunque accompagnato in un’emozionante esplorazione della poesia dialettale dal ‘600’ all’età contemporanea, viaggiando in tutto lo stivale grazie alla lettura – ma sarebbe meglio definirla performance attoriale – di brani scelti tra le opere degli autori più rappresentativi. Alcune pagine del Belli (autore Romano) e del Porta (milanese) ci hanno restituito la stessa idea dell’Italia popolana rassegnata e vinta delle canzoni di De André; non a caso, nella letteratura ‘popolare’, l’eroina è spesso una prostituta come le tante che popolano le canzoni dell’autore genovese - e forse il più grande pregio di De Andrè fu proprio quello di aver riportato alla luce l’autenticità della cultura poetica popolare in un linguaggio comprensibile a tutti: un linguaggio che gli consentì di parlare di amore e guerra (quella vera e non dei cavalieri senza macchia e paura) con la stessa forza che usarono i nostri poeti dialettali per dar voce agli ultimi e riscattare i vinti – altre pagine invece ci hanno emozionato e divertito, come quelle di Trilussa e persino Totò, con la sua ormai famosissima ‘A livella’.

In breve, l’Italiano odierno è un idioma assai giovane che, mentre muove i suoi primi passi, già si contamina dei tanti altri idiomi che percorrono la penisola grazie alla globalizzazione. Pensare di attuare politiche di salvaguardia dei dialetti è utopico e anacronistico, ma esplorare la nostra cultura popolare rappresenta un’opportunità imperdibile per comprendere meglio chi eravamo e come vivevano le generazioni che ci hanno preceduto.

La serata si è conclusa con un vivace dibattito ed alcune curiose rivelazioni…ma per saperne di più potete richiederci il DVD della serata!

MB